Il reato di diffamazione a mezzo stampa si concreta nell’offesa all’altrui reputazione operata a mezzo della stampa (articolo 595, terzo comma. C. P.). L’uso della stampa non costituisce però elemento strutturale del reato, bensì circostanza aggravante dello stesso: è infatti del tutto indifferente il mezzo con il quale la notizia diffamatoria viene divulgata.
La componente oggettiva del reato si compone di diversi elementi, il primo dei quali è l’assenza della persona offesa; infatti, la presenza di quest’ultima rubricherebbe il fatto sotto la fattispecie dell’ingiuria.
Il secondo elemento, invece, concerne le modalità di svolgimento dell’azione: infatti, l’addebito offensivo deve essere comunicato a più persone. Concorrono a formare il numero di tali soggetti sia quelli diversi rispetto all’offeso, sia i prossimi congiunti del diffamato, sia anche le persone che siano già informate del fatto offensivo attribuito (1). Quando poi la diffamazione sia compiuta a mezzo stampa, l’elemento della pluralità si può ritenere in re ipsa, per il fatto stesso della pubblicazione e della diffusione del mezzo usato, che si rivolge ad un numero cospicuo di persone (2).
Terzo e più importante elemento è l’offesa dell’altrui reputazione. La reputazione è la valutazione che il pubblico fa del pregio dell’individuo e quindi la stima che questo gode fra i consociati: offendere la reputazione significa dunque ledere la buona opinione che un soggetto si è creato negli altri. La reputazione comprende tutte le qualità che concorrono a determinare il valore sociale di una persona, ed è pertanto diffamatorio ogni fatto che offende una o più di queste qualità.
La reputazione, in verità, non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico. Non costituiscono, pertanto, offesa alla reputazione le sconvenienze e l’infrazione alla suscettibilità o alla gelosa riservatezza (3).
Da quanto detto risulta chiara la relatività della nozione di reputazione, ed è altrettanto chiaro quale sia la discrezionalità rimessa al giudice nel valutare in concreto se un certo addebito debba, o meno, essere considerato diffamatorio. La giurisprudenza è per questo motivo intervenuta, ed ha cercato di fissare alcuni parametri, che possano essere d’aiuto al giudice nella valutazione del carattere diffamatorio delle espressioni contenute in una pubblicazione stampata. Per cui è stato affermato che ricorrono gli estremi dell’offesa ingiusta, integrante il reato di diffamazione, anche quando l’addebito sia espresso in forma tale da suscitare il semplice dubbio sulla condotta disonorevole (4). Per di più, l’intento diffamatorio può essere raggiunto, oltre che con espressioni non vere e non obiettive, pure con mezzi indiretti ovvero con subdole ed insinuanti allusioni, che sono anch’esse idonee a ledere l’altrui reputazione (5).
Ulteriore elemento del reato è l’individuazione del destinatario delle espressioni offensive. In mancanza di un’individuazione specifica, ovvero di riferimenti in equivoci a circostanze e fatti di notoria conoscenza attribuibili ad un determinato individuo, il soggetto passivo del reato deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita (6). Non è necessario che la persona cui l’offesa è diretta sia nominativamente designata, essendo sufficiente che essa sia indicata in modo tale da poter essere individuata in maniera inequivoca (7). Tale criterio non è surrogabile con intuizioni o con soggettive congetture che possano insorgere in chi, per sua scienza diretta, può essere consapevole, di fronte alla genericità di un’accusa denigratoria, di poter essere uno dei destinatari (8).
Responsabile del reato è non solo l’autore della pubblicazione, ma anche, ai sensi degli articoli 57, 57-bis e 58 del codice penale, in virtù di una rara ipotesi di responsabilità oggettiva (ovvero senza colpa, per il solo fatto di avere omesso di esercitare il necessario controllo cui sono tenuti), il direttore o il vice-direttore del periodico, o l’editore oppure lo stampatore nel caso di stampa non periodica. La querela presentata contro questi personaggi produce effetto anche nei confronti del giornalista firmatario del testo infamante.